Il bell’anatroccolo

Il Bell’ Anatroccolo

Il bell’anatroccolo è la storia di un anatroccolo che è rimasto anatroccolo.
Tutti conosciamo la storia del brutto anatroccolo di Hans Christian Andersen.

La fiaba del brutto anatroccolo è questa:

 

C’era una volta un bel laghetto di campagna, circondato dalle canne, dai salici e da canali profondi. Era un posto selvaggio e tranquillo, illuminato dai raggi dorati del Sole. In un’ansa del laghetto, un’anatra aveva costruito il suo nido. Trascorreva tutta la giornata a covare le sue uova, in attesa che ne nascessero degli anatroccoli.

Un bel giorno, le uova cominciarono a schiudersi: “Pip Pip” facevano gli anatroccoli, che per la prima volta nella loro vita vedevano il Sole e l’acqua.
“Com’è grande e bello questo mondo” dicevano alla mamma “Andiamo ad esplorarlo”.
“Dovete aspettare” disse loro mamma anatra “C’è ancora un uovo che si deve schiudere”. Ma l’uovo non ne voleva sapere di schiudersi. Quel pomeriggio, passò di lì una vecchia anatra che disse alla mamma: “Fammi vedere l’uovo; potrebbe essere un uovo di tacchino: una volta ho perso una settimana con un uovo di tacchino e non c’è stato verso di far entrare in acqua i piccoletti. Sì, è proprio un uovo di tacchino! Al posto tuo io lo butterei tra le canne e penserei ai miei paperotti”. Ma mamma anatra continuò a covare l’ultimo uovo rimasto finché si schiuse: ne uscì un anatroccolo molto più grosso degli altri ed era brutto.

“Domani proverò a portarlo in acqua; se è un tacchino, lo lascerò nei campi” si disse l’anatra. Ma il giorno seguente, l’anatroccolo si tuffò e cominciò a nuotare insieme ai suoi fratellini.
“Non è un tacchino!” esclamò la mamma “Guardate come muove bene le zampe e come si tuffa” disse a tutte le sue amiche.
Poi l’anatra radunò tutti i suoi piccoli. “Adesso vi porterò nel pollaio, a conoscere i nostri vicini animali. Dovrete stare vicini a me e non allontanarvi per nessuna ragione. E state attenti al gatto”.

Ma quando entrarono nel pollaio, gli altri animali cominciarono a fare confusione: “Ma chi è quel brutto anatroccolo? È così grosso, ci fa paura! Non lo vogliamo”. La mamma anatra difese il suo anatroccolo e lo prese vicino a sé. Anche le altre anatre cominciarono a schernirlo: “Che bei piccoli mamma anatra, ma questo qui … è così brutto”.
Il giorno dopo, gli animali ripresero a schernire il povero anatroccolo. Trascorse un mese, ma le cose andavano sempre peggio. Il brutto anatroccolo veniva scacciato dai suoi stessi fratellini, il tacchino lo beccava e perfino mamma anatra, ogni tanto, gli diceva: “Se solo tu fossi nato lontano da qui, staremmo tutti meglio”.

Così, l’anatroccolo volò oltre la siepe e lasciò la fattoria. Si avventurò nella palude, abitata dalle anatre selvatiche e dagli altri uccelli. “Sei molto brutto” gli dissero “ma a noi non importa: basta che non ti sposi con uno dei nostri anatroccoli”. Così il piccolo si fermò qualche giorno nella palude. Lì incontrò anche due oche, che cercarono di convincerlo ad unirsi a loro. Purtroppo, però, un cacciatore le centrò tutte e due con la sua carabina. Perfino il cane del cacciatore, che stava nuotando nella palude alla ricerca delle oche, non appena vide l’anatroccolo scappò via.

Il giorno dopo l’anatroccolo scappò via dalla palude, per non finire tra le grinfie dei cacciatori. Si rifugiò in una vecchia casetta di contadini, in cui abitavano una vecchietta, un gatto e la gallina. Quando la vecchietta si accorse dell’anatroccolo, lo mise in prova: “Vorrei tanto mangiare delle uova di anatra. Se ne farai qualcuna, potrai rimanere qui con noi”.
Ma il piccolo anatroccolo non fece alcun uovo; per di più, litigava tutti i giorni con il gatto e la gallina: loro erano convinti che il mondo finisse poco oltre il giardino della casetta e quando l’anatroccolo parlava loro delle anatre selvatiche e della fattoria lo trattavano come un matto.

Un bel giorno, l’anatroccolo si stufò di essere trattato così male e decise di andarsene in giro per il mondo. Era autunno e il piccolo camminò fino a raggiungere un lago. Lì si nascose tra le canne, ad aspettare l’inverno. Con l’inverno, l’acqua in cui nuotava cominciò a ghiacciare e il piccolo rimase incastrato nel ghiaccio, senza nulla da mangiare. Un giorno, un contadino lo trovò privo di sensi nel ghiaccio, lo prese e lo portò a casa, ai suoi bambini. I piccoli volevano giocare un po’ con lui, ma l’anatroccolo si spaventò a morte e scappò via. L’inverno fu duro e il poveretto fece la fame tra le canne. Per fortuna riuscì a sopravvivere al gelo!

Arrivò la primavera e finalmente l’anatroccolo uscì dal suo rifugio per riscaldarsi un poco sotto i raggi del sole. Stava nuotando nel lago quando vide tre cigni meravigliosi passare proprio davanti a lui.
“Chissà cosa mi faranno” pensò il piccolo “Sono così brutto che vorranno uccidermi”. I cigni, appena lo videro, si avvicinarono verso di lui agitando le loro piume bianche.

“Uccidetemi” pensò l’anatroccolo, chinando il capo sull’acqua. Ma cosa vide? Nell’acqua argentata, come uno specchio, non vide il brutto anatroccolo grigio che tutti gli animali avevano preso in giro. Al suo posto c’era un bellissimo cigno bianco. L’anatroccolo si era trasformato nel cigno più bello di tutti. Del resto, che cosa importa essere nati in un pollaio di anatre, quando si è usciti da un uovo di cigno?

I tre cigni che si erano avvicinati erano i suoi fratelli e il piccolo si unì a loro. Da quel giorno, visse felice, senza pensare a quanto aveva sofferto. Anzi, ogni volta che un bambino si avvicinava a lui per dargli un pezzo di pane da mangiare, pensava tra sé: “Quando ero un brutto anatroccolo non pensavo che la mia vita sarebbe stata tanto felice”.

Questa fiaba ci insegna che non sempre le apparenze sono la realtà, anzi molte volte la realtà è nascosta e va cercata con cura e attenzione dentro di noi.

Mi sono sempre chiesto , ma è possibile vivere tutta la vita senza mai diventare un “cigno”, è possibile resistere alla fatica di una vita passata a essere un “brutto anatroccolo”?

La risposta non è semplice, in questo tempo basato sull’apparenza e la competizione, non è semplice vivere sotto i gradini del podio e lontano dalle luci della ribalta, non è semplice essere “normale”.

Essere tutti i giorni se stessi, non è un “lavoro” semplice, camminare ogni giorno nella propria vita è molto faticoso, essere un brutto anatroccolo non è piacevole, ma … se fossimo capaci di essere un bell’anatroccolo? se fossimo capaci di stare piacevolmente dentro la nostra vita?

Vivere tutti i giorni nell’incertezza della vita è un compito che può sembrare ingrato e sfrustrante, ma restare in questa incertezza ci porta a immergerci profondamente fino alla radice del nostro essere di persone uniche e indivisibili, individui che possono brillare di una luce così forte che alcune volte è capace di abbagliare noi stessi.

Una delle nostre paure più grandi non è quella di rimanere nel buio, ma di brillare oltre ogni nostro limite, saper portare la luce stando dentro la nostra “semplice” vita non è cosa da tutti, ma è ciò che ci permette di illuminare il “nostro piccolo mondo” e di sentirci anatroccoli belli, anatroccoli che possono essere se stessi senza la paura di dover cercare essere altri, per essere qualcuno.

Avere coraggio non significa non avere mai paura, ma significa superare la paura per un bene più grande.

Io credo che il bene più grande che un essere umano possa trovare sia quello di essere se stesso in ogni sua sfumatura, in ogni sua parte gioendo delle parti positive e accogliendo i limiti, che come dice l’etimologia della parola stessa (limen-limes) non sono altro che solchi d’attraversare per aprirci a nuove dimensioni di noi.

Essere un anatroccolo non significa essere automaticamente “brutto”, significa che c’è un percorso da fare per trovare la “perla” che si nasconde in noi e portarla in superficie, scavare a fondo in noi, esplorare le nostre profondità attraverso un viaggio che porta ad una meta che si fonde inesorabilmente con la partenza stessa, ma vista con occhi nuovi, con una nuova consapevolezza, con una reale misericordia e rinnovata pace per colui che siamo.

Come nel libro “Il cammino di Santiago”: il pastore Santiago intraprende un viaggio lungo e faticoso alla ricerca di un grande tesoro, arrivando alla fine a capire che il tesoro non è altro che la sua esistenza stessa.

Così ognuno di noi è chiamato a intraprendere un viaggio non per trasformarsi da “brutto anatroccolo” a “cigno”, ma bensì in un “bell’anatroccolo” capace di stare nell’incertezza della relazione più difficile di tutte le relazioni della nostra vita, quella con noi stessi.

BUONA VITA

Massimiliano Compagnone

3469565929

 

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