I.A.D. quando internet diventa dipendenza:
Come per ogni innovazione tecnologica, dopo gli iniziali entusiasmi giustificati dalle enormi potenzialità dei media digitali, sempre più specialisti si sono e si stanno interrogando sui rischi psicopatologici legati all’uso, ma soprattutto all’abuso della rete. La dipendenza da internet è stata nominata per la prima volta dallo psichiatra americano Ivan Goldberg nel 1995, quando coniò la definizione Internet Addiction Disorder (IAD) e fece circolare in rete i criteri diagnostici per la dipendenza dalla rete prendendo spunto dal DSM IV. L’Internet Addiction Disorder divenne un fenomeno di dipendenza noto nel 1996 quando Kimberly Young dell’università di Pittsburg, pubblicò la ricerca “Internet Addiction. The emergence of new clinical disorder”. La ricerca era relativa ad un gruppo di soggetti dipendenti dalla rete. Dal 1996 ad oggi la sempre maggiore incidenza dell’uso dei media digitali ha portato ad avere una molteplicità di fenomeni a cui dover guardare per definire una dipendenza da internet. Come più volte scritto il sorgere della realtà virtuale ha profondamente cambiato il registro delle capacità mentali e sensoriali di tutti, contribuendo a plasmare una nuova cultura e differenti forme e modalità di rapportarsi con se stesso, con l’altro da sé e con il mondo. La comunicazione virtuale è caratterizzata da ipertestualità, ipermedialità, elevata velocità, sostanziale anonimato, giochi d’identità, superamento dei normali vincoli spazio-temporali, parificazione dello status sociale, accesso a relazioni multiple, insorgenza di emozioni imprevedibili, anarchia e libertà di trasgressione. Tutti questi ingredienti fanno sì che la realtà virtuale sia fortemente attraente fino a divenire la dimensione del vivere quotidiano. Le caratteristiche della comunicazione virtuale possono rendere la vita nella rete più agevole della realtà, lo dimostra la grande attrattiva che i MUD o gli mmorpg hanno su tutti, ma in particolare sugli adolescenti, che se da un lato possono sperimentare una serie di sé per poi arrivare ad una integrazione, dall’altra rischiano la creazione d’identità talmente fluide e multiple da trasformare il concetto stesso d’identità. Intorno alla fine degli anni novanta del XX secolo la IAD era divenuta una vera e propria dipendenza capace di creare problemi relazionali e sociali, una patologia con sintomi astinenziali e problematiche economiche correlate. Secondo la Young i soggetti più a rischio di sviluppare la sindrome sono persone tra i 15 e i 40 anni con carenze comunicative legate a problemi nella sfera psichica quali emarginazione, difficoltà familiari e relazionali. Altri fattori predisponenti sarebbero: un elevato grado d’informatizzazione negli ambienti di lavoro, turni notturni, isolamento geografico. Particolarmente esposte alla IAD sono le persone che hanno tratti di personalità ossessivo-compulsivo o/e con tendenze al ritiro socio-affettivo. In questi casi la IAD può rappresentare un comportamento di evitamento messo in atto per non affrontare i propri disagi. La Young nel 1998 introdusse un modello teorico per rappresentare l’avvicinamento alla dipendenza da internet. Il modello introdotto prende il nome di ACE, Accessibility Control Excitement, essa permette di penetrare gli aspetti fisiologicamente positivi della rete tipo : la facilità di accesso ai servizi offerti dalla rete, la gratificazione immediata offerta dalla rete, la sensazione di controllo che l’individuo percepisce usando la rete creando un senso di irreale onnipotenza. La rete virtuale permette di vivere una esperienza emozionante, grazie alla quantità di stimoli forniti contemporaneamente. Proprio la quantità massiccia d’emozioni vissute con grande intensità porta l’utente ad aumentare il numero di ore trascorse in rete fino ad arrivare alla consapevolezza di non riuscire più a gestire la situazione. L’arrivo ad una vera e propria rete-dipendenza si divide in due tappe: la prima è definita tossicofilica. In questa fase l’utente vive un periodo definito lurker con intensa partecipazione a social network, chat e comunità virtuali, con collegamenti prolungati specialmente nelle ore notturne. La seconda fase è definita tossicomanica dove si evidenzia tutto il comportamento patologico pregresso con ulteriore incremento della durata dei collegamenti, tanto da compromettere seriamente la vita relazionale, sociale e lavorativa della persona. Molti autori definisco la IAD una costellazione di disturbi strettamente connessi all’insieme di bisogni e scopi dell’utente che trovano attraverso l’uso dei nuovi media un soddisfacimento immediato. Si parla dunque di differenti Cyber addiction, riuniti da Cantelmi nel concetto di Internet Related Phychopathology nel cui interno sono riuniti disturbi dalle caratteristiche simili, ma con tratti differenti come:
• Friendship addiction: dipendenza dalle relazioni online.
• Cybersex addiction: dipendenza dal sesso online.
• Muds addiction: dipendenza dall’uso dei Mud.
• Compulsive online gambling: gioco d’azzardo compulsivo online.
Vedendo questo spettro di patologie è più indicato parlare, come suggerisce Riva, di psicopatologia dei nuovi media, con l’inclusione di tutti i fenomeni d’impiego patologico, compresi i social network. I social network possono offrire opportunità a molti di noi come abbiamo visto nel capitolo precedente, ma la loro natura ibrida presenta una faccia negativa, per questo possono creare opportunità e anche problemi. All’interno dei social network possono essere riscontrati comportamenti disfunzionali non visibili immediatamente. Tra i più comuni citiamo: il cambiamento d’identità, i comportamenti aggressivi, il cyberbullismo, il sexting, la violazione o la manipolazione dell’informazione, l’abuso e la distribuzione dell’informazione. Il primo dei comportamenti disfunzionali riguarda la non garanzia della veridicità dell’identità dei soggetti interagenti in rete. Per questo è abbastanza comune trovare soggetti che assumono identità fittizie, caratterizzate da sesso differente ( gender swapping) o impersonando personaggi famosi (fake). Il secondo comportamento disfunzionale riguarda l’uso provocatorio e irritante dei social (troll) così da suscitare indignazione e attirare l’attenzione su di sé; anche lo stalking è compreso in questa categoria. Lo stalking consiste nell’ uso del social network per perseguitare un soggetto spesso per futili motivi. Il terzo comportamento disfunzionale riguarda una forma particolare di comportamento aggressivo; cioè l’attuazione volontaria e ripetuta nel tempo di aggressioni da parte di preadolescenti e adolescenti tramite i nuovi media. Il quarto comportamento disfunzionale è la trasmissione di immagini e video sessualmente esplicite proprie o di persone conosciute. Il fenomeno è molto frequente tra gli adolescenti; si calcola che il 20% degli adolescenti ha inviato o ricevuto almeno una volta immagini a sfondo sessuale, le immagini possono essere usate a scopo di cyberbullismo. Il quinto comportamento disfunzionale riguarda il tentativo di entrare nei profili altrui, la creazione di virus per danneggiare o modificare i dati presenti in un profilo, la creazione di spywere, applicazioni che raccolgono dati di un utente o il phishing applicazione che consente di acquisire informazioni riservate mediante false comunicazioni. Il sesto comportamento disfunzionale è lo scambio di programmi commerciale senza autorizzazione e l’invio di spamming. Come abbiamo scritto i social network sono uno strumento con cui controllare la propria identità sociale, ma, se questo può avere aspetti positivi, porta con sé anche aspetti negativi quali l’instabilità e la mancanza di sicurezza. Palfrey e Gasser scrivono a tal proposito: “ l’identità di un sedicenne è caratterizzata dall’instabilità: può cambiare di frequente. Ma quando è espressa online è caratterizzata da una mancanza di sicurezza: è difficile per un sedicenne di una società collegata a Internet tenere sotto controllo chi può accedere alla sua identità o apportarvi cambiamenti”. Un esempio a questo proposito è il fenomeno del tagging (etichettare) con cui è possibile abbinare ad un’altra persona immagini o testi da lui ignorati e senza che lui lo decida. Il risultato finale di quest’incertezza e instabilità è un identità fluida che è flessibile, ma precaria, mutevole e incerta. Se per un adulto un’ identità fluida può essere vantaggiosa, può divenire un problema per un adolescente il quale sta cercando di costruire la propria identità. Come sottolinea Erikson nel suo libro “Gioventù e crisi d’identità” , il superamento della crisi d’identità tipica della fase adolescenziale richiede l’integrazione di una serie di acquisizioni quali quelle di tipo personale, sociale ed esperienziale. Essere in un mondo dove la realtà virtuale porta alla moltiplicazione dell’identità piuttosto che all’integrazione può risultare controproducente per un adolescente. Rallentando tale processo d’integrazione dell’identità si possono riscontrare problemi rilevanti nei rapporti sociali. I “nativi digitali”, secondo Riva, sostituiscono la stabilità e la ricerca di futuro, con un eterno presente privo di certezze e legami. Altro effetto dell’uso massiccio dei nuovi media è l’analfabetismo emotivo (emotional illiteracy). Come abbiamo visto con l’uso dei nuovi media la fisicità viene messa da parte e sostituita dal medium. Ciò impedisce al soggetto di avere un punto di riferimento per la comprensione delle proprie e altrui emozioni. Non avendo un’interazione faccia a faccia, non si possono attivare i meccanismi di simulazione corporea che sono la base della teoria dei neuroni specchio. Queste mancate interazioni “corporee” non ci permettono di capire intuitivamente l’altro, così si riduce la capacità di gestire le proprie emozioni e di riconoscere quelle altrui. Contemporaneamente i fruitori dei nuovi media provano emozioni molto forti guardando contenuti mediali: sono emozioni “altre” da sé, mediate, “disincarnate”. Controllando le emozioni, filtrandole attraverso i media gli utenti non corrono il rischio di provare qualcosa che non vogliono provare, cosa che potrebbe accadere vivendo l’esperienza in prima persona. Vivere contemporaneamente queste due situazioni ha un impatto sulla nostra capacità di saper leggere l’emozioni e sul favorire l’analfabetismo emotivo. Goleman per analfabetismo emotivo intende la mancanza di consapevolezza che porta al non controllo delle proprie emozioni e ai comportamenti ad esse associate, l’incapacità di dare ragione dell’emozione provata e l’incapacità di relazionarsi con le emozioni altrui e con i comportamenti ad esse collegate. Goleman attribuisce all’analfabetismo emotivo alcune problematiche che si palesano nel periodo adolescenziale quali il bullismo, la tossicodipendenza e l’alcolismo. Altri autori come Galimberti e Parsi sottolineano come i nativi digitali siano caratterizzati da un alto livello di analfabetismo emotivo dato dalla maggiore quantità di relazioni vissute attraverso media rispetto a quelle dirette. Abbiamo più volte detto che i social network sono come “piccoli mondi” e che le persone distano tra loro non più di sei gradi di separazione. Questo da un lato è utilissimo dal momento che si riducono le distanze ed è facile entrare e rimanere in comunicazione praticamente con chiunque. L’altra faccia della medaglia è che nei social media si registra un grande uso del pettegolezzo come forma di controllo dei comportamenti dei soggetti sottoposti a questa pratica. Altro aspetto negativo di vivere in uno small world è l’influenza che i legami deboli possono avere: se nella realtà esistono legami forti che hanno una giusta influenza su tutti noi, nelle comunità virtuale questa influenza è allargata anche a persone che tramite la rete conosciamo poco e alcune volte per niente. L’influenza dei legami deboli si riscontra in quell’effetto che viene nominato “l’erba del vicino è sempre più verde”. È stato dimostrato che chi usa maggiormente facebook tende a credere che i propri “amici” siano più felici di lui, questo stato di percezione porta a sviluppare sintomi depressivi dipendenti da una vere e propria “invidia digitale”. Sempre in relazione ai legami forti e deboli, abbiamo un paradosso: se i social network tendono ad livellare gli status al proprio interno così da avvicinare persone provenienti da estrazione sociale differenti, hanno anche la capacità di rendere simili i legami che l’utente vive, così da creare una rarefazione dei ruoli sociali con tutti i problemi del caso. In altre parole, la mancanza di distinzioni tra gli “amici” del social non ci permette una giusta separazione tra i diversi contesti che viviamo e i ruoli che assumiamo, così da mettere a rischio la nostra reputazione facendo errori di lettura sociale. Altre due problematiche rilevanti che si riscontrano utilizzando il web 2.0 sono l’enorme diminuzione della privacy e l’eccesso d’informazione. Parlando della prima è palese che è possibile immettere e archiviare nel cyberspazio enormi quantità di dati che vengono catalogati e incrociati per ricostruire in maniera perfetta le generalità e le preferenze degli utenti. Paradossalmente se nei social network posso cambiare facilmente la mia identità digitale, è vero anche che, seguendo le tracce lasciate dalle diverse identità digitali, è facile per altri ricostruire la mia vita offline. L’inserimento dei propri dati di ogni tipo in un social network costituisce una memoria dell’attività e della personalità della persona, queste tracce non scompaiono neanche dopo molti anni e non è semplice cancellarle. Solo recentemente Facebook ha inserito un processo di cancellazione automatica e totale dell’account. La seconda riguarda l’enorme quantità d’informazioni che sono presenti nei social network e che richiedono all’utente un enorme sforzo di gestione. Una volta era luogo comune puntare ad avere più informazioni possibili, adesso con i social le informazioni diventano troppe e ridondanti. L’eccesso d’informazione viene definito da Schenk “smog di dati”, l’utente viene continuamente costretto a trovare le informazioni utili dentro un bombardamento continuo di input. Per l’utente questo comporta uno stress cognitivo elevato. A livello psicologico le principali conseguenze dell’ information overload sono: l’ansia da mancanza d’informazione sufficiente, il disinteresse o il rifiuto dell’informazione. La prima riguarda il continuo ricercare informazioni cambiando continuamente fonti. La seconda riguarda il manifestarsi di un disinteresse per il sovraccarico di flussi comunicativi. Come è stato scritto più volte, la fascia più esposta ai rischi correlati all’uso dei nuovi media è quella degli adolescenti. Gli smartphone sono per i ragazzi qualcosa di più che un semplice strumento di comunicazione, sono un prolungamento della loro vita. La dipendenza da cellulare per molti adolescenti è una realtà che li porta ad un isolamento è al rischio di escludersi dal mondo, questo comporta anche la possibilità di finire per entrare in contatto con siti creati appositamente per adescare e plagiare persone giovani e sole. Oramai sono molti i siti che rimandano a pratiche perlomeno dubbie. Siti che rimandano alla violenza, alle pratiche esoteriche, a quelle occultistiche e altro ancora. Tramite questi siti vengono cercati adepti sia “accessori” che “affiliati”.Le persone che finiscono in queste sette vengono portate a vivere un isolamento tale da non riuscire a confidare a nessuno le violenze psico-fisiche che vivono. Per questo e per tutti i motivi sopra citati mi sento di poter dire citando Metitieri: “ In un Internet che è diventata mainstream, di massa, trovare ciò di cui si ha bisogno è sempre più difficile, ma è ancora più difficile valutare ciò che si è trovato”.